Guido
Piovene negli anni Cinquanta nel suo Viaggio
in Italia descrive Pescara come una città ribollente, confusa, che manca di
un vero centro, una città che può espandersi senza limite. La descrizione è
perfetta per raccontare dinamiche che son rimaste identiche per quasi settant’anni.
Una potenzialità mai esplosa, continuamente assopita in una infinita siesta
regia. Tutto ciò che gravita al di fuori dell’asse culturale Casa Natale di
Gabriele D’Annunzio/Stadio Adriatico viene da sempre ignorato, dimenticato o
nella migliore delle ipotesi rispolverato nei momenti propizi. Non a caso lo
stesso Paz, pochi anni dopo essersi trasferito a Bologna, scrive: “A Pescara,
dopo un poco mi dimenticano (mi avranno davvero dimenticato?)”.
Ma
è da un’altra esternazione di Andrea Pazienza che voglio partire, una
dichiarazione d’amore. Il 10 maggio 1975, il giorno dopo l’inaugurazione della
sua prima personale nella Galleria D’Arte Convergenze
di Pescara, scrive così alla sua fidanzatina di allora: “Spero tu abbia capito cosa significhi per me Pescara
ed in cosa identifichi il mio ambiente, è meraviglioso e complesso e
completamente imparagonabile a nessun altro, e fatto da immagini e frasi
sconnesse, ma vitali, di istanti folli e irripetibili, di cinismo e di magia,
di pettegolezzi, di lazzi e ubriachezze moleste, di sogni, di guerre e
meravigliosi ritrovarsi, e di cultura a tutti i livelli, e di aerei e di armi,
e di rivolte mai sopite. Ieri, era, o avrebbe dovuto essere il mio giorno…”. In
queste parole ritrovo un’atmosfera che io, da fumettista che vive in questa
città ed è nato negli anni Ottanta, ho sempre e solo sognato. È la conferma che se capiti nel posto giusto al
momento giusto, tutti i tasselli si incastrano alla perfezione e puoi trovare
la tua oasi anche nel deserto.
Ma com’era Pescara negli anni Settanta? Per questo viaggio nel tempo mi aiuterà l’artista Albano
Paolinelli, professore di Pazienza al Liceo Artistico Misticoni di Pescara.
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Paz e Paolinelli |
Davanti a un
buon prosecco Albano mi catapulta immediatamente nel ventennio del dopoguerra,
il boom economico, la nascita delle prime gallerie in città come la Verrocchio
o Arte D’oggi già aperte all’arte informale, le riviste Il Segno e Quest’Arte e
successivamente le gallerie G3 del trio Di Blasio, Summa, Spalletti, la Pieroni/Coen
e la Nuova Dimensione di Cesare Manzo. Da qualche anno era stato istituito a
Francavilla il Premio Michetti,
riconoscimento nazionale molto ambito (a cui partecipò anche Pazienza con “La strana guerra del Sign. Rossi”
incoraggiato dai suoi insegnanti), e nella regione spuntavano altre iniziative
e luoghi espositivi, come la Alternative Attuali de L’Aquila dove vennero
ospitati artisti come Burri, Rotella, Scialoia e Ceroli. Pian piano questo
fermento cominciò ad avere una risonanza al di fuori dell’Abruzzo, grazie anche
alle strette collaborazioni con la Capitale, come nel caso della galleria
romana La Tartaruga dell’abruzzese De Marchi, per la quale lo stesso Paolinelli
svolgeva il ruolo di corrispondente e trait d’union con Pescara. Questa
formidabile concatenazione di iniziative, luoghi e umanità stava dando vita in
quel momento alla Provincial Art, e
Pescara divenne uno degli avamposti di frontiera dell’arte nazionale.
Nella
Galleria Nuova Dimensione di Cesare Manzo gravitavano i Magnifici Sette della
nostra storia: Albano Paolinelli, Sandro Visca, Angelo Colangelo, Dino
Colalongo, Elio Di Blasio, Peppino D’Emilio e Alfredo Del Greco che oltre ad
esser artisti erano accomunati anche nell’essere tutti parte del corpo docenti
del Liceo Artistico di Pescara, riuniti dal preside-manager Misticoni, con
proverbiale lungimiranza.Dimmi
Albano: “Era il 1970, ero in una riunione studentesca al cinema-teatro San
Marco, c’era questo spilungone con la erre moscia che sparava cazzate al
microfono, era Andrea al suo primo anno di liceo, non era ancora un mio
studente, l’avrei perso di vista e ritrovato al terzo anno, perché decise di
tornarsene un anno a Foggia. Inizialmente la città non ebbe un bell’impatto su di
lui, erano i tempi del Collegio dei Gesuiti, del forte legame con gli altri
studenti pugliesi fuorisede, allo stesso tempo però iniziò anche l’amicizia con
uno studente abruzzese un po’ più grande di lui, Tanino Liberatore”.
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Liberatore e Paz |
Due anni
dopo, quando Pazienza tornò a Pescara per studiare, ne rimase felicemente
invischiato. Avere dei professori, Paolinelli e Visca, al tempo stesso
promotori e artisti di una realtà come la Provincial
Art non poteva che incidere in maniera dirompente sulla sua formazione. Un
legame ribadito in una tavola della quarta puntata di Pentothal: “…vennero due agenti della Ricotta e uno di loro mi
chiese se ero Pentothal, della scuola di Paolinelli e Visca.”
A differenza
di Sandro Visca, ritratto in centinaia di disegni e in diverse storie, Paz non
ha mai rappresentato Paolinelli se non in una tavola inizialmente inedita di Pentothal dove è al bancone di un bar
con un impermeabile di plastica. “Mi rappresentò di spalle, aveva grandi
difficoltà a trasformare il mio volto in caricatura.”
L’incapacità
per Paz di disegnare e raccontare Paolinelli nei
suoi fumetti colpisce abbastanza, se pensiamo a quanto l'artista abbia
attinto dai suoi trascorsi pescaresi. Un’infinità di suggestioni, di atmosfere,
di scorci e personaggi che ritornano nelle sue opere, come l’amico Mariolino
Penitente, quello con la macchiolina sull’occhio (Pacco e Pompeo), il
passaggio a livello di Via Vittorio Veneto (Notte
di Carnevale), il compianto Vladimiro De Sanctis, segretario dei Marxisti
Leninisti (Pentothal), Chieti Scalo (ancora
Pentothal), la panchina sul lungo
mare dove siede con i suoi rimorsi il figlio terrorista del politico
Donat-Cattin (vignetta pubblicata su Il
Male) insieme a tanti altri.
Ricorda
Albano: “Era sorprendente la sua capacità nel rendere caricatura le persone che
gli giravano intorno. Un giorno tirò fuori in aula una grande foglio dove aveva
rappresentato tutte le sue insegnanti e compagne di classe in un bordello. Il
foglio girò in maniera clandestina nel liceo. Credo invece che la sua prima
storia a fumetti fu Don Viscotte della
Mancia con protagonisti Sandro Visca e Dino Colalongo nei panni di Sancho
Panza”.
Solo 12 anni
di età distanziavano Andrea dal suo professore di ornato disegnato al terzo e
quarto anno di Liceo Artistico, e fu naturale per i due instaurare un rapporto
di amicizia. “Non all’inizio. Le sue capacità fuori scala, evidenti, lo
portavano a riempire il foglio in maniera eccessiva. Questo suo modo di
concepire la composizione instaurò tra di noi, i primi tempi, un rapporto
conflittuale. Tentavo in continuazione di fargli capire l’importanza degli
spazi vuoti nell’arte. Un giorno se la rideva in classe, io lo lasciai fare
ignorandolo finché lui stesso mi chiese di indagare sul motivo di quella sua
ilarità. Così dopo la lezione lo presi in disparte per avere spiegazioni. Non
aspettava altro. Iniziò a raccontare con la sua impeccabile proprietà di
linguaggio il viaggio che aveva fatto da Pescara a San Severo, facendomi
apparire davanti, con dovizia di particolari, tutte le persone che aveva
incontrato sul cammino, fino a confessarmi che rientrato nella sua camera da
letto si era soffermato a pensare.”
A cosa?
“A tutte le
cazzate della mia lezione sullo spazio.”
Col passare
del tempo il legame tra i due divenne sempre più forte. Andrea, che a Pescara
ricordiamolo viveva già da solo nonostante fosse poco più che un ragazzino, era
spesso ospite della famiglia Paolinelli e Albano, con cui condivise tantissime
esperienze, ne divenne amico e confidente, quasi una figura paterna. Continuano
i ricordi: “Ci sentivamo spesso anche quando lasciò Pescara. Gli consigliai di
non perdersi in pubblicazioni con editori di basso profilo, di puntare
direttamente in alto. Fu così che finì nella redazione di Alter alter con la sua cartella di fumetti che inizialmente gli
furono rifiutati. Conoscendo le dinamiche editoriali e la quantità di nuovo
materiale che sono costretti a visionare consigliai ad Andrea di non demordere,
di riprovarci e di rovesciare accidentalmente i fogli addosso a Fulvia Serra.
Non avrebbe potuto ignorare la bellezza che gli si sarebbe parata davanti agli
occhi. E sembra che più o meno sia andata così, per la pubblicazione della
prima puntata di Pentothal e di quel
capolavoro successivo che è Armi”.
Andrea decise di regalare proprio ad Albano le prime tavole a colori di Armi, un modo per esprimere la sua gratitudine
“Ti devo ringraziare per tutto quello che mi hai dato.”
C’è ancora
molta Pescara nell’autobiografia con cui Pazienza si presenta ai lettori di Alter alter al momento del suo esordio: “Nel '70 (o molto prima ?) apre a
Pescara una galleria d'arte il cui tenutario è completamente pazzo. Si chiama
Nuova Dimensione, e la bazzico. Chiude nel '72 (questo lo so per certo). Parte
degli artisti senza tetto si riunisce e apre di lì a poco l'ormai leggendaria
Convergenze.”
La nascita
di Convergenze, nel 1973, fu una vera svolta. I Magnifici Sette allargarono i
propri ranghi con l’ingresso di Franco Summa e Ilvi Capanna e delle giovani
promesse Piergiorgio D’Angelo e Andrea Pazienza. Lo scopo era quello di
trasformare la città di Pescara attraverso l’arte. A guidare il manipolo di
artisti era Peppino D’Emilio, un vero e proprio credente dal punto di vista
artistico. Non passa inosservata, col senno di poi, la sua incredibile
somiglianza fisica con il personaggio di Zanardi.
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Paz, Paolinelli, Visca e D'Emilio (Convergenze 1973) |
Dopo un
inizio in salita, senza liquidità se non quelle sottratte agli stipendi da
insegnanti, grazie all’intervento di alcuni imprenditori Convergenze aprì una
sede in Via de Amicis (in
quegli stessi spazi dove oggi troneggia un centro fitness per anziani), non
una semplice Galleria ma un progetto di sviluppo della città che mirava
all'investimento nella creatività, nella cultura e nella formazione per
favorire la crescita del territorio.
Pazienza
in realtà era già frequentatore di Nuova Dimensione, ma con Convergenze iniziò
ad infilare le mani in maniera concreta nella Provincial Art. “La
Galleria era il centro del nostro mondo”, racconta Albano, “Andrea l’aveva
ribattezzata Concertenze perché in
quegli anni non era solo luogo per le arti visive ma vi si svolgevano diverse
attività, tra queste la sezione di musica diretta dal professor Ugo Fusco del
Conservatorio di Pescara. Si passava dal teatro alle letture, il nostro
obiettivo era produrre cultura e venderla”. Pochi anni prima era nato il Pescara Jazz, un festival internazionale
spuntato ancor prima di Umbria Jazz, che aveva portato in città oltre a un
giovanissimo Keith Jarret e ad altri grandissimi musicisti anche una nuova
consapevolezza di crescita culturale, andandosi ad affiancare all’azione già
messa in atto dalla Provincial Art
nel rendere Pescara una città all’avanguardia. Andrea Pazienza con il gruppo di
Convergenze instaurò un rapporto
stretto con il festival fatto di collaborazioni che sfociarono in locandine
d’artista e altre iniziative. E sempre Andrea a descrivere le attività che si
svolgevano a Convergenze in questo modo: “Si fa tutto il possibile
dall'happening alla grossa rassegna, dai concettuali ai comportamentisti, dai
film in 16 o super 8 alla Body Art, dai concerti ai veri e propri festivals,
eccetera. C'è aria conviviale, da allegro seminario”.
Negli stessi
anni in città alle manifestazioni operaie si erano affiancate le contestazioni
studentesche iniziate con l’occupazione dell’Università di Economia e
Commercio. Il primo ad unirsi fu il liceo artistico seguito poi da professori e
studenti della facoltà di architettura. La città era un continuo ribollire,
cosa che si andava a sposare perfettamente con lo spirito di Convergenze.
“L’Ultimo atto del gruppo è del 1975” ricorda
Paolinelli con sguardo fiero “Eravamo stati invitati ad esporre in una
collettiva dei nostri lavori, cosa che andava in antitesi con la nostra idea di
voler rendere l’arte partecipativa e formativa per la città. Cosa ribadita anche
in seguito da Andrea, l’arte per tutti non solo per il ricco medico che la
chiude in cassaforte. In poche parole non avevamo nessuna intenzione di
appendere dei lavori alle pareti. L’idea che proposi fu quella di realizzare
l’operazione Cavallo di Troia,
prendere lo spazio concessoci esternando al tempo stesso il nostro disappunto.
Il risultato fu l’esposizione del manifesto d’intenti della nostra iniziativa
replicato per ogni spazio a disposizione. Questo gesto fece saltare tutte le
teste dell’Ente Manifestazioni di allora.” E se la ride ancora sotto i baffi il
caro Albano.
Nel
1976, il gruppo di Convergenze si scioglie più o meno per gli stessi motivi che
animavano i loro intenti artistici, anche la Galleria, chiusa e circoscritta
era divenuta d’intralcio. L’incubazione era stata compiuta ed ognuno di loro
era proiettato verso nuove dimensioni, come Franco Summa che applicava i suoi
colori direttamente sulle città o Andrea Pazienza, che da un anno era già a
Bologna per frequentare il Dams e aveva trovato definitivamente il mezzo
perfetto per esprimere la sua creatività e poter arrivare a tutti: Il Fumetto.
(© copyright - testo: Simone Angelini - foto: aventi diritto)
Leggi anche: I 60 anni di Andrea Pazienza 1956 - 2016
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Con i professori Paolinelli e Visca |